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PROGETTO MANHATTAN. Capitolo 2 - parte prima

5 Dicembre 2006 di Marco Di Marco

Il Progetto Manhattan prende vita

Come Fermi, furono molti, moltissimi gli uomini di scienza e, più in generale di cultura, che lasciarono l’Europa per stabilirsi, alcuni definitivamente, negli Stati Uniti.
Alcuni tra questi scienziati tentarono, seppur timidamente, di convincere gli alti vertici del governo che bisognasse prestare molta attenzione alla possibilità di sviluppo ed utilizzo, da parte della Germania nazista, di armi nuove e dal potere distruttivo di portata incalcolabile.
Da parte sua, Roosvelt e i suoi collaboratori, in principio, non sembrarono riservare molta attenzione a questi pareri, dedicando gli sforzi scientifici e tecnologici in maggiore misura alla realizzazione del radar, che evidentemente sembrava più importante.
Fu in questo clima che Leo Szilard iniziò a rendere pubblici con vigore i suoi dubbi sulla possibilità di armi nucleari tedesche.
Questi era uno scienziato ungherese, trasferitosi negli Stati Uniti in seguito all’invasione dell’Ungheria da parte di Hitler; venuto a conoscenza della cessata esportazione dell’uranio dalle miniere tedesche, ed attribuendola alla volontà di realizzare un’arma nucleare, decise che era giunto il momento di richiamare l’attenzione del governo americano in maniera più decisa. Ciò nonostante, le sue richieste, per quanto insistenti, vennero ignorate, forse anche perché all’epoca lo scienziato era praticamente sconosciuto. Assieme al collega e connazionale Wigner, Szilard decise allora di coinvolgere in questa sua intenzione colui che all’epoca era lo scienziato più famoso del mondo: Albert Einstein. Questi godeva di una fama eguale se non addirittura superiore a quella dei divi del cinema e dello spettacolo. A questo riguardo però si rende necessaria una osservazione: che Einstein rappresenti uno dei più grandi uomini di scienza di sempre, è un fatto; tuttavia, pur avendo compreso da uomo intelligente e da esperto scienziato la portata della nascente fisica nucleare, egli era scientificamente, per così dire, un po’ spettatore esterno di tutta la questione.
Einstein nel ’39 aveva già sessant’anni e si può dire che avesse già dato i suoi contributi (incommensurabili), in età più giovane; dunque, pur non essendone avulso egli faceva parte del mondo scientifico ma era destinato a non produrre praticamente più nulla.
Convinto, oltre che da Wigner e Szilard, dal suo profondo odio per il nazismo (ricordiamo che Einstein, oltre a tutto, era ebreo), e preoccupato, giustamente, per la prospettiva di un’arma atomica in mano a Hitler, il 2 agosto 1939 scrisse una lettera al presidente degli Stati Uniti, in cui lo informava della possibilità concreta di realizzare un tale ordigno ed in cui lo spronava ad intraprendere un programma serio e determinato per contrastare questa possibilità .
Di un programma nazista per la realizzazione dell’ordigno aveva parlato anche Bohr, ma di questo parleremo più in dettaglio nel seguito.
Einstein non avrebbe avuto nessun ruolo scientifico attivo nella realizzazione delle bombe, e non partecipò al progetto Manhattan. Prima di morire, inoltre, fu co-firmatario, assieme ad un nutrito gruppo di scienziati e uomini di cultura, di un celebre manifesto contro la guerra da cui poi prese vita il cosiddetto movimento Pugwash, insignito del premio nobel per la pace nel 1996 ed attivo ancora oggi. Espresse più volte il suo pentimento per la lettera di cui sopra, in seguito alla tragedia di Hiroshima e Nagasaki, ed il rammarico per esser stato, in un certo senso, uno dei promotori del progetto. Seppur con qualche ritardo e un po’ di titubanza, Roosvelt diede ascolto ad Einstein, e avviò il più massiccio concentramento di sforzi scientifici a scopo bellico mai realizzato: già nell’estate del 1942 il Progetto Manhattan era in piena attività .
Come detto, a dicembre Fermi aveva realizzato la prima reazione a catena, e già nel marzo del 1943 a Los Alamos, nel New Mexico, era stato radunato un numero di scienziati assolutamente incredibile allo scopo di realizzare un ordigno nucleare.
La supervisione, trattandosi di un progetto militare, venne affidata ad un generale dell’esercito americano, Lesile Groves, mentre la coordinazione scientifico-amministrativa era nelle mani di Robert Oppenheimer, in principio fervido sostenitore dell’uso bellico del nucleare. I rapporti con la vita militare degli scienziati furono a tratti molto difficili: Segré, ad esempio, non spende parole troppo dure per il generale, ammettendo tuttavia che a tratti sembrava “un po’ ridicoloâ€Â, ma rimane il fatto che per chi vivesse a Los Alamos era difficilissimo intraprendere contatti con l’esterno, e che la corrispondenza era strettamente controllata dai militari e le telefonate rarissime.
Nella seconda fase del progetto, pressato dalle continue lamentele degli scienziati, Oppenheimer cercò di ridurre un poco questo clima, riuscendoci solo in parte: era obbligatoria l’uniforme militare, il perimetro era recintato e sorvegliato da guardie armate, e gli scienziati, abituati a tutt’altro clima, erano turbati dall’atmosfera che si era creata.
C’è da dire che, tuttavia, questa situazione non influenzava negativamente le ricerche, che procedevano a velocità straordinaria, probabilmente anche grazie alle straordinarie doti di mediatore ed amministratore di Oppenheimer.
Nel 1954, in pieno periodo maccartista, Oppenheimer fu processato perché sospettato di simpatie comuniste e spionaggio. Secondo molti si trattò di una sorta di boicottaggio dovuto alla ferma opposizione del fisico americano alla realizzazione della bomba H ed al cambiamento radicale delle posizioni dello scienziato nei confronti della politica di armamento del suo Paese e nel mondo. Nel tentativo di riabilitarne l’immagine e quasi a voler rimediare all’errore del processo, molti anni dopo sarà insignito dell’Enrico Fermi Award.
Le vicende legate alla figura di Oppenheimer divisero la comunità scientifica e sollevarono più d’un dibattito, sono sue le famose parole: “i fisici hanno conosciuto il peccatoâ€Â, spesso citate quando si parli delle esplosioni nucleari del Giappone e del Progetto Manhattan.

Nel prossimo articolo descriverò più nel dettaglio il lavoro degli scienziati che lavoravano al progetto, e parlerò diffusamente della tormentata vicenda Bohr-Heisenberg, presentando alcune ricostruzioni differenti.



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